Siamo tutti discretamente bravi a renderci la vita più complicata. Basti pensare a come facciamo diventare assoluta l’idea di “dovere”. Oppure al nostro tentativo continuo di adeguarci a “modelli” che crediamo di aver scelto, ma che più realisticamente forse sono stati scelti per noi. Possiamo renderci conto che la nostra vita quotidiana è sempre piena di qualcosa appunto da “fare”. Una buona parte della cultura occidentale è basata appunto sul “fare”. Ma qual è il nostro rapporto invece con il “non fare”?
Ci può venire in aiuto la cultura orientale. Nello specifico, mutuato dalla filosofia Taoista, conosciamo il concetto di Wu Wei. Letteralmente significa “non azione”. Non agire sembra essere un invito alla passività, evitare di prendere un’iniziativa lasciandosi trascinare dagli eventi o dal caso. Ma l’immobilità o la passività non sono naturali per gli esseri umani. Quindi non fare nulla è ben diverso dalla non azione. Ed essendo fondamentalmente contro natura richiede, per assurdo, un dispendio di energie. Ci si stanca a non fare nulla!
Ma allora cosa è la non azione? Proviamo a spiegarlo con un esempio. Le persone che si approcciano alla pratica della meditazione incorrono spesso in uno strano paradosso. Se tentano con la volontà di svuotare la mente, rilassare il corpo, respirare in un certo modo, trovano fallimento e frustrazione. Se invece consentono che pensieri, emozioni, sensazioni fluiscano semplicemente, e restano solo centrati ad osservare quanto avviene, come quando si riprende una scena facendo un video, ecco che, stranamente, giungono inaspettati lo stato di benessere e chiarezza che i loro sforzi avevano prima negato.
Possiamo poi portare questo piccolo miracolo nella nostra vita quotidiana? Sicuramente si, ma non è semplice. Si tratta di qualcosa cui siamo davvero poco abituati. Se io mi lascio scorrere nel flusso di ciò che avviene, in che modo poi governerò me stesso? Perderò il controllo? Il segreto, molto più facile a dirsi che a farsi, è consentire l’azione proprio non agendo.
Immaginiamo una persona che naviga con una canoa in un torrente, i flussi sono potenti. Non è certo lui a spingere il fiume, che lo porta a valle con la sua energia. E non deve certo usare la pagaia come propulsore. Ciò che può fare è stare vigile ed attento a quello che succede. Una scrupolosa analisi preliminare del percorso lo aiuterà senz’altro, ma moltissime variabili resteranno inevitabilmente imprevedibili. Qualora si rendesse necessaria una correzione, tempestivamente se ne avvedrà, agendo. Se invece gettasse anche la pagaia in acqua, con un atteggiamento di sfida e passività, probabilmente colerà a picco impattando alla prima curva o alla prima roccia.
Credo che l’esempio appena fatto rende sufficientemente il concetto di Wu Wei. Essere ricettivi, pronti ad usare la propria energia, sviluppare una chiarezza su cosa si desidera e su dove si vuole arrivare, essere consapevoli dei pericoli e fare il necessario per evitarli è assolutamente possibile. Realizzare tutto questo richiede sicuramente pratica, utilizzando gli strumenti che ben conosciamo per espanderci, integrarci ed amare la nostra vera natura.
Allo stesso tempo accorgiamoci quando ci troviamo, in barba al Tao, ad agitarci sotto sforzo, illudendoci che è tutto in mano nostro e che pure la Terra, se non siamo noi a spingerla, si fermerà. I nostri pensieri sono un ticchettio frenetico, la mente crea mondi interi, l’attenzione si sposta in un altro luogo ed un altro tempo. L’illusione è che abbiamo il controllo. Ma non è così. Non siamo presenti. E nemmeno ricettivi. Siamo immobilizzati. Come un cuore contratto nella fibrillazione siamo incapaci di pompare sangue. Per tornare a vivere dobbiamo prima apprendere a non agire, fermandoci, tornando nel presente, istante dopo istante. Solo così ci si potrà rilassare, in modo da essere pronti a muoverci e ad adattarci alle circostanze quando sarà necessario, nella direzione migliore per noi. Ritrovando fiducia in noi e nella vita.