Un artista abbastanza noto aveva un problema nell’apparire in pubblico, in particolare nel parlare in televisione. Gli fu suggerito, per acquisire sicurezza, di fare corsi di dizione per eliminare la propria cadenza dialettale, di migliorare il proprio look e di rassomigliare forse di più ad un presentatore. Parlammo, in effetti, di questa cosa, e forse si rese conto che c’era una possibilità alternativa: quella che, per piacere alle persone, non era necessario aderire ad un modello stereotipato più o meno condiviso, ma che era possibile diventare un personaggio unico, apprezzato per delle caratteristiche assolutamente speciali e personali. In un’occasione capitata per caso, e senza una vera programmazione, si trovò davanti una telecamera dandosi il permesso di essere semplicemente come era ed esprimendosi in assoluta libertà. Ne nacque un successo mediatico, e lui scoprì da solo, non senza sorpresa, di come l’unicità può funzionare più dell’adesione ad un modello.
In realtà questo capita un po’ a tutti e deriva dalla nostra educazione. Sin da piccoli ci vengono suggeriti dei modelli cui adeguarci. Questo non solo da genitori, famiglia, scuola, ma anche dal cinema, dai fumetti, dalla televisione e quanto altro. Per accorgercene basti pensare a cosa noi riteniamo “normale”, “giusto”, “per bene” ed altro ancora. Siamo esseri sociali, ci conformiamo per essere accettati. Questo non è sbagliato e serve anche a mantenere la pace: in tutto il mondo democratico, quindi rispettoso dell’opinione di ognuno di noi, è servito a non farci la guerra, ad esempio, tra città confinanti, identificandoci invece in valori comuni a miliardi di individui. A volte lo dimentichiamo e, facilmente, diamo un senso di assoluto ed universale a ciò che evidentemente non lo è. Non solo quello che è “normale” in un villaggio dello Yemen è diverso da quanto è normale a Roma, ma addirittura quello che è “normale” in un appartamento di un condominio non lo è probabilmente in quello al piano di sotto.
Il conformismo, che quindi ha una funzione, mostra i suoi limiti quando ci occupiamo di singole persone e del loro percorso evolutivo. Tutto quanto ci appartiene ed è estraneo a questi modelli tendiamo a considerarlo qualcosa di noi stessi da dover nascondere o cambiare (i lettori saranno ormai annoiati dal mio riferimento all’Ombra in Psicologia Integrale). All’opposto, specialmente nell’adolescenza, si tende a ribellarsi a tali convenzioni, senza accorgersi che nella ribellione si esprime proprio la massima dipendenza. Infatti, seppure al contrario, i riferimenti restano inevitabilmente gli stessi. La strada più difficile è rinunciare qualche volta a questi riferimenti, esplorando il proprio irripetibile modo di esistere, e, con un po’ di coraggio, darsi il permesso di dargli valore, importanza, energia. Questa è la strada della vera autonomia, (dal greco antico αὐτονομία; αὐτόνομος, autònomos, parola composta da αὐτο-, auto- e νόμος, nomos, “legge”, ovvero “legge propria”).
Può essere pericoloso rinunciare a dei modelli, sia nell’adeguarsi che nel ribellarsi ad essi? La risposta è nel livello di consapevolezza e naturalmente nel dosaggio. Conoscendo se stessi, e preferendo l’azione alla reazione, si scopre la responsabilità, la possibilità di dare una risposta adeguata alle proprie esigenze. Tutelando e rispettando se stessi si scopre il rispetto degli altri. Sarebbe tutto straordinariamente affascinante anche come modello sociale: l’ostacolo, da sempre, è una resistenza nel mettere l’attenzione all’interno piuttosto che all’esterno e nel darsi il permesso di guardare a sé con gentilezza, soprattutto su larga scala. Più facile seguire modelli cui conformarsi. Ma non è vietato sognare un mondo in cui tutto questo trovi maggiore spazio.