Pastiera

Una memorabile sera lo Chef Lino Scarallo di Palazzo Petrucci e lo scrittore Maurizio De Giovanni si sono incontrati per uno show sul palco in uno straordinario, inusuale duetto. Lino ha raccontato la pastiera a modo suo. Come vedete qui sotto: dalla tradizione, alla pastiera scomposta in un bicchiere, al “one shot” esplosivo di pastiera.

 

Maurizio ha raccontato, come solo lui sa fare, la leggenda della pastiera. Questa è la storia…

Da “Vipera” di Maurizio De Giovanni -Edizioni Einaudi

“[. . . ]Come sempre, Maione aveva fatto in modo di non essere di turno per il sabato e la domenica di Pasqua: i bambini tenevano molto a quella festa , e la famiglia aveva le sue piccole tradizioni . [. . . ]
Allora, mentre mammà la prepara, vi racconto la storia della pastiera. Volete sentire?
Come a un segno convenuto, Lucia cominciò a disporre sul tavolo gli ingredienti necessari alla preparazione del dolce: la pasta frolla, preparata nelle prime ore della giornata quando tutti ancora dormivano; la ricotta di pecora, in un cestino di paglia intrecciata; il grano, cotto nel latte fresco; lo zucchero bianco raffinato; lo strutto, le uova, la cannella, il limone; il cedro e la cucuzzata, zucca candita per la quale Lucia andava famosa; e la delicatissima acqua di fiori, preparata infondendo in acqua calda, poi filtrata, i fiori dell’albero di arance amare, il vero profumo di primavera. [. . . ]
Mentre i bambini di casa Maione spalancavano gli occhi davanti a tutto il ben di Dio che Lucia aveva disposto sulla tavola, il brigadiere disse: – Molto, molto tempo fa , quando la città era giovane, c’era solo un piccolo villaggio di pescatori vicino al mare.
E dal mare veniva quasi tutto quello che c’era da mangiare, il pesce, i crostacei, le cozze, tutto.
Un giorno però venne una tempesta, e le barche dei pescatori non potevano uscire più, la tempesta non finiva, passavano le settimane e ormai le riserve erano finite, non c’era più niente.
Maione punteggiava il racconto imitando gli effetti sonori, tuoni, fulmini, le onde alte del mare. Anche i figli maggiori, che avevano ascoltato la storia decine di volte, erano affascinati e seguivano a bocca aperta.
Sorridendo, Lucia manipolava sapientemente gli ingredienti.
Sorridendo, Enrica mescolava nella casseruola il grano cotto, lo strutto, il latte e la scorza grattugiata del limone.
Pensava che il senso dell’amore è proprio nella condivisione. Non che fosse un’esperta, ma chi ha detto, rifletté, che per conoscere a fondo una cosa bisogna averla vissuta? Lei, per esempio, aveva molto letto e molto sognato, in merito all’amore. E aveva ascoltato le confidenze delle amiche e della sorella, e aveva visto le pellicole romantiche accompagnate da musiche struggenti al cinematografo vicino a piazza Dante, e nelle sere calde d’estate aveva udito le dolcissime serenate degli innamorati. Sapeva tutto, dell’amore.
E sapeva, mentre mescolava metodica nell’attesa che si formasse una crema priva di grumi, attenta all’orologio sulla parete mentre trascorrevano i dieci minuti prescritti dall’antica ricetta, che le delusioni allontanavano dall’amore, che l’amore non ha bisogno d’esperienza , per formarsi e consolidarsi, anzi, forse l’esperienza indurisce e rende amari. Meglio essere inesperte, forse.
Proprio così, pensò togliendo la casseruola dal fuoco.
Proprio così – disse il brigadiere Maione ai figli – Il mare non ne voleva sapere, di calmarsi.
E siccome ormai era arrivata la primavera e i bambini avevano fame, i pescatori decisero di uscire lo stesso, anche se la tempesta urlava ancora. Le mogli e i bambini erano disperati, al pensiero dei papà che affrontavano quelle onde alte più delle case. Ogni sera si riunivano sulla spiaggia, sotto la pioggia, e pregavano e piangevano e si disperavano, perché il mare cattivo restituisse i papà con le loro barche. Che faccio? Mi fermo o vado avanti?
Con sapienza, teneva l’attenzione dei bambini, mentre con altrettanta sapienza le veloci mani di Lucia componevano la propria sinfonia, amalgamando la ricotta con le uova, la vaniglia, la cannella, lo zucchero e l’acqua di fiori d’arancio. Si accorse con una punta d’orgoglio che Maria e Benedetta, pur ascoltando il racconto di Raffaele, non si perdevano un suo gesto.
Avanti, pensò lei.
Avanti dissero i bambini in coro. [. . . ]
-La nostra città – disse Maione – era piccola, ve l’ho detto. Ma i bambini e le donne erano come adesso, quando piangevano lo facevano a voce così alta che era impossibile non ascoltarli. E alla fine una sirena, che sarebbe una donna con una lunga coda di pesce che vive sotto il mare, di nome Partenope, venne fuori e disse: ma perché piangete e strillate giorno e notte, e non mi fate dormire?
La bambina che gli stava in braccio disse, stringendosi a lui:
-Perché volevano i papà!
-E brava, proprio così risposero i bimbi alla sirena Partenope. E lei, che era una sirena buona, si commosse e disse: mo’ ci penso io. E si inabissò di nuovo per andare a parlare a suo padre, il Mare.
Per dirgli che c’erano tutti quei bambini e quelle mogli che aspettavano il ritorno degli uomini per poter mangiare e riabbracciarli.
Lucia unì l’impasto al grano cotto nel latte, aggiungendo la cucuzzata e il cedro candito tagliato a dadini. Il figlio allungò la mano per ghermirne un pezzo, e lei rapidissima gli diede uno schiaffetto dicendogli: – Non ancora! [. . . ]
Il Mare brontolò – disse Maione – perché non voleva consentire alle barche di rientrare a casa, si stava divertendo troppo con quella tempesta. E poi aveva fame, ed era di malumore. Partenope, che lo conosceva bene, andò a dirlo alle mamme e ai bambini sulla spiaggia, e loro si riunirono per decidere cosa fare. Fu allora che alla bambina più piccola venne in mente un’idea: siccome era primavera, ed il Mare non lo sapeva, pensò di dirglielo facendogli vedere tutte le belle cose che la stagione portava. Così prepararono tante scodelle con le bontà della terra: la ricotta e la farina, simbolo della campagna fertile; le uova, simbolo della vita che si rinnova; il grano bollito nel latte e l’acqua di fiori d’arancio, simbolo dell’incontro delle piante e degli animali; lo zucchero, simbolo della dolcezza , e le spezie, simbolo dei popoli lontani affratellati proprio dal mare. E misero tutto vicino alla spiaggia.
Lucia cominciò a tagliare in listarelle la sfoglia residua, che aveva tenuto da parte proprio per quello, ascoltando la voce piena e rotonda del marito e pensando a quanto lo amava.
Durante la notte, le onde portarono i doni in fondo al mare: Partenope, che aspettava, unì tutto e preparò una torta che diede al padre. Lui se la mangiò una fetta alla volta , e la fame gli passò, e insieme alla fame gli passò la rabbia e si calmò, diventando una tavola. Così le barche poterono rientrare, cariche di pesce, e i bambini riabbracciare i propri padri, e da allora, ogni volta che viene la primavera, le mamme ripensano a quel giorno e preparano la torta che preparò Partenope. E noi ce la mangiamo.
Lucia guardò Raffaele che abbracciava tutti i bambini; Benedetta le si avvicinò e le diede un bacio, così lei le consentì di applicare l’ultima listarella sulla pastiera, che sarebbe stata portata al forno.
Le sorrise, e pensò che era meravigliosa. [. . . ]
Fuori, la Pasqua irrompeva silenziosa nella primavera.